mercoledì 5 ottobre 2016

IL CINEMA DI OZU. Due incontri a partire dal suo film "Viaggio a Tokio"

Segnaliamo l'iniziativa che si tiene presso la Biblioteca Crescenzago (Milano, Viale Don Orione 19) relativa all'opera del regista Ozu e in particolare al suo film "Viaggio a Tokio". 
I due incontri, ideati da Davide Bersan (http://ascoltoenarrazione.blog.tiscali.it)
 si tengono venerdì 14 e 28 ottobre alle ore 20.30. 

Note di DAVIDE BERSAN su Viaggio a Tokio 

Nell'itinerario che abbiamo percorso  attraverso le opere di Yashuijiro Ozu a partire da maggio 2015 (siamo già al quarto ciclo di incontri) non poteva mancare  Viaggio a Tokio ritenuto anche dalla critica occidentale non solo  una delle sue opere migliori ma anche una pietra miliare della  storia del cinema mondiale. Date queste premesse credo sia opportuno spogliarsi per quanto possibile di pregiudizi e aspettative per lasciarsi condurre nella visione del film dal ritmo lento della narrazione e dalla bellezza delle immagini che il recente restauro  ci ha restituito. Si rischierebbe di rimanere delusi rimanendo attaccati  a dei criteri troppo "occidentali" che privilegiano la storia o dei messaggi che essa deve veicolare.

       Se proprio dobbiamo cercare un messaggio all'interno del racconto filmico potrebbe essere sintetizzato nel proverbio citato almeno due volte nell’ultima parte  e che impensierisce il terzo figlio Keizo "A che serve fare il letto al morto?" e che in altre parole può essere espresso "meglio servire i genitori finchè sono vivi" ma evidentemente sarebbe troppo riduttivo ricondurre il film  di Ozu a questo unico tema. In effetti Tokio monogatari che andrebbe tradotto "Una storia di Tokio" è un'opera ricca di allusioni e premonizioni, di rimandi e  significati che si rivelano a poco a poco, in cui le sequenze si richiamano l'una con l'altra e il tutto  forma una trama intessuta  finemente i cui fili dopo aver compiuto il loro percorso si ricompongono in un quadro unitario. Non essendoci quadro senza una cornice che lo circonda e lo abbellisce possiamo apprezzare il rigore formale del regista nel fare di ogni sequenza  una composizione di immagini quasi completa in sè stessa che pur ponendosi in una continuità l'una rispetto all'altra producono nello spettatore anche l'impressione di "stacco", di una certa discontinuità che però viene subito smussata dalla gentilezza del suo peculiare tratto narrativo.
     L'attenzione al contesto e all'ambiente in cui si muovono e interagiscono i protagonisti ci situa in loro compagnia dandoci la possibilità di assaporare il clima e  l'atmosfera che circonda le loro vicende che si snodano attraverso lo scorrere lento del quotidiano. Le piccole storie di ogni giorno con i loro dialoghi semplici e pieni di sottintesi, dove il non detto supera di gran lunga ciò che viene espresso, acquistano un significato corale. Non è il singolo infatti ma  la famiglia  a essere protagonista e la coscienza sofferente ma serena di Shukichi e Tomi  che ci appare come la superfice di un lago di montagna che presenta solo quelle pressochè impercettibili increspature celando ciò che agita le sue profondità,  non fa altro che da suo catalizzatore e rappresentante. Le speranze, le trepidazioni, le ansie, le delusioni e i dispiaceri della coppia di anziani fungono  da cassa di risonanza di una grave crisi che attraversa l'istituto familiare  fino a dissolverlo quasi totalmente. Ozu stesso in un'intervista a proposito di questo film  ha parlato effettivamente di "disgregazione" della famiglia giapponese. Ma si sbaglia chi volesse vedervi un atteggiamento improntato al pessimismo e  al nichilismo catastrofista riguardo i legami famigliari. Non lo troverà, lo sguardo di Ozu è comunque positivo e accompagna il travaglio di queste persone attraverso un equilibrio che riesce a tenere insieme il distacco dai suoi oggetti  e un pathos discreto e sommesso.  Mentre vede tramontare un mondo non sa ancora con che cosa esso verrà sostituito e attraverso la posizione  estetica tipica di una  tradizione che affonda le radici nel buddismo zen conosciuta come mono no aware , sceglie di contemplarne la bellezza nel momento in cui ne vede la fugacità. La precarietà di ciò che è destinato a soccombere come tutte le cose ad un ineluttabile cambiamento (mujo, l'impermanenza) rende tutto ciò ancora più saturo di quel fascino fragile e struggente la cui contemplazione provoca quel sentimento particolare di commozione e nostalgica tristezza. Ma ciò in Ozu trascende la situazione particolare per collocarsi in una dimensione più ampia ed  esplorare dimensioni che vanno al cuore dell'umano. Così la famiglia di Shukichi e Tomi diventa paradigma del vivere e del trascorrere dell'esistenza dentro un orizzonte e un'afflato che sconfina nell'universale.