giovedì 11 giugno 2015

IL VOLTO, LO SGUARDO E LE MANI DELLA MADRE. Recensione a Massimo Recalcati


Presentiamo alcuni passi della recensione di 
Benedetta Tobagi al libro di Massimo Recalcati 
Le mani della madre (Feltrinelli). 
L'articolo è uscito su "La Repubblica" il 8.5.2015.  
Il testo completo:  



(...) Se la funzione paterna veicola il senso umano della Legge, ovvero "una Legge nel desiderio" (...) il tratto caratteristico della funzione materna è "la cura particolareggiata", ossia l'amore per la vita incarnata nell'unicità irripetibile del figlio. 



«Il desiderio della madre trasmette il sentimento della vita»: attraverso le mani, il loro tocco amorevole, il loro sostegno forte, ma ancor più tramite lo sguardo. Se «l'eredità materna riguarda il diritto del figlio all'esistenza», per converso, la vita del bambino non voluto o rifiutato dalla madre (anche, si badi bene, quando sia materialmente accudito di tutto punto) «è esposta traumaticamente all'incontro violento e prematuro con l'insensatezza dell'essere». La madre è fondamento ma anche fondo oscuro dell'esistenza, come — ha notato acutamente la junghiana Enrichetta Buchli — ben sapeva il Goethe del Faust: «Un tripode infuocato ti dirà finalmente / che avrai toccato il fondo del più profondo abisso. / Alla sua luce tu vedrai le Madri. […] Fa' cuore, allora, ché è grande il pericolo», avverte Mefistofele.
L'autore di riferimento è, come di consueto, Jacques Lacan, il cui linguaggio ostico è "tradotto" da Recalcati in termini accessibili, ma il saggio offre anche una panoramica divulgativa di riflessioni intorno al materno da Freud alla koiné psicoanalitica degli ultimi anni, passando per figure chiave come André Green, autore di uno studio fondamentale sugli effetti devastanti della "madre morta" in senso affettivo, in quanto spenta e assente per il figlio: un "lutto bianco" quasi impossibile da elaborare.
"Avere" un bambino, si dice. Ma la funzione materna si sostanzia, piuttosto, nell'essere capace di lasciar andare il figlio, a tempo debito, nella rinuncia al possesso. Se ciò non accade, il corpo della madre «può diventare una presenza in eccesso, che abolisce ogni discontinuità, ogni differenza» e ridurre il figlio a oggetto al servizio esclusivo del proprio godimento. Una presenza angosciante, come i ragni mastodontici scolpiti da Louise Bourgeois sotto il titolo Maman. Quanti bambini sono stati solo feticci, oppure, come Vincent Van Gogh, sostituti di fratellini morti in precedenza, con esiti disastrosi per la loro psiche? La maternità porta con sé fantasmi d'onnipotenza, perché il bambino offre spontaneamente «quello che nessun soggetto maschile — salvo forse certi psicotici — è in grado di offrire alla propria compagna», ossia «la sua stessa esistenza, senza riserva». L'amore divorante della madre-coccodrillo di Lacan può essere arginato, da una parte, dalla Legge del Padre, dall'altra, dalla capacità della donna di non auto-annullarsi nel ruolo di genitrice. È pericoloso, per il figlio, quando dietro la smania di diventare madre si cela il bisogno di colmare mancanze di senso e d'autostima.
A partire dal bel saggio Le Matriarche di Catherine Chalier, Recalcati rivisita alcuni topoi religiosi. Le madri del celebre giudizio di Salomone sono due facce sempre presenti, a livello inconscio, nella maternità. Le gravidanze miracolose della vergine Maria (figura non riducibile all'archetipo materno caro al sistema patriarcale, la donna desessualizzata, idealizzata e votata al sacrificio) o della vecchia e sterile Sara sono figura perfetta del fondamento simbolico della maternità come apertura audace e totale all'Altro. Senza quest'apertura, senza una disponibilità autentica, talora persino la fertilità biologica risulta compromessa: Recalcati narra vari casi di sterilità psicogena, superati sciogliendo i nodi (dai lutti non elaborati ai complessi d'inadeguatezza) attraverso l'analisi.


Le storie cliniche non mentono, la maternità è un'esperienza totalizzante che libera, immancabilmente, i fantasmi della psiche, e, talvolta, con essi, angosce profonde: come accade a una paziente anoressica che si sente "invasa". Se non c'è desiderio autentico, il feto può essere vissuto come un corpo alieno, il neonato come un persecutore spaventoso. L'impatto con la creatura urlante così diversa ed eccedente rispetto al "bambino della notte" (come Silvia Vegetti Finzi definisce il figlio ideale immaginato nell'attesa) è uno choc. «Molti infanticidi — scrive Recalcati — hanno come presupposto un desiderio di maternità e una gravidanza non sufficientemente simbolizzati». E sempre emerge, prepotente, il fantasma della madre della madre: recidere simbolicamente questo legame è la condizione per un accesso positivo alla maternità. Tragico paradosso, la separazione è tanto più difficile quanto più il bisogno d'amore della figlia è stato frustrato. Lacan parla del "cattivo infinito" del ravage (devastazione) da cui scaturisce una recriminazione — dunque un legame — senza fine. Sempre più spesso, constata Recalcati, nello studio analitico entrano madri narcisiste che vivono (o evitano) la maternità come fosse un mero ostacolo, o figlie di queste ultime, devastate da mamme in perenne, subdola competizione — estetica, umana, professionale — con loro. Eppure sempre e ancora esistono madri capaci di trasmettere un'eredità positiva. Come Selma, l'eroina di Dancer in the dark , commovente cammeo su cui il libro si chiude: una madre innamorata dei musical ma capace del sacrificio estremo, capace di offrire fondamento alla vita e insieme incarnare la Legge paterna temprata dall'amore, capace di donare al figlio ciò che non ha.

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