mercoledì 12 dicembre 2012

PICASSO, LACAN E SORELLE PAPIN


     Il delitto è davvero orribile. Il 2 febbraio 1933 nella cittadina francese di Le Mans due giovani sorelle, impiegate come domestiche, nel cuore della notte uccidono le loro padrone, madre e figlia. Si accaniscono sui loro corpi con coltelli e martelli deturpandole e cavandole gli occhi “come le Baccanti castravano”, commenterà poi Jacques Lacan. Lavano gli strumenti dell’atroce rito, si purificano anche loro e tornano a letto. (Giancarlo Ricci) 



     Il delitto fece scalpore anche perché le due sorelle non presentavano, finché erano assieme, alcun segno di alterazione, di delirio o di demenza. Non sapevano spiegare il motivo del loro gesto. Solo dopo alcuni mesi una di loro, Christine, tenuta isolata dalla sorella, presenta una serie di crisi violentissime di agitazione, con allucinazioni e deliri terrificanti in cui tra l’altro cerca di strapparsi gli occhi. Il processo desta un’immensa curiosità. Il 30 settembre, le sorelle vengono condannate dai giurati. Christine udendo che le verrà tagliata la testa sulla piazza di Le Mans, accoglie la notizia in ginocchio. Successivamente verranno graziate.
      In quello stesso anno e nei successivi i surrealisti fecero delle sorelle omicide due eroine “dell'istinto libero e trionfante”. Tra gli altri parlano di loro Breton, Eluard, Peret. Sartre in Il muro (1939) e de Beauvoir in La forza dell'età (1960) accennano alla vicenda. Non può mancare Jean Genet che teatralizza questa atroce storia in un atto unico, Le cameriere (1948). Il cinema riprenderà a suo modo questa vicenda. Anche Lacan interviene  ma in un modo diverso dagli altri pubblicando un breve saggio scientifico sulla celebre rivista surrealista “Minotaure”. Il saggio, dal titolo “Motivi del delitto paranoico”, lo si trova incluso nel volume Della psicosi paranoica (Einaudi, 1980) che era la sua tesi di dottorato in psichiatria in cui esplora alcuni casi di paranoia femminile.     
     Il gallerista Kahnweiler riporta, in una conversazione con Picasso verso la fine del ’33, che questi “ha visto il dott. Lacan con il quale non è affatto d’accordo: egli sostiene che le sorelle Papin sono pazze”. Picasso sconsolato da questa divergenza con Lacan rincala la dose dicendo che lui invece “ammirava le sorelle Papin in quanto avevano osato fare ciò che ciascuno vorrebbe fare, ma che nessuno osa fare”. E si chiede: “Che cosa sarebbe la tragedia se togliamo questo aspetto?” Kahnweiler gli fa notare che i giudici le avevano considerate pazze. E Picasso: “Oh, i giudici hanno una cultura classica!”. E Kahnweiler ridendo: “Sì, il diritto romano!”. “Gli psichiatri moderni - replica Picasso - sono i nemici della tragedia e della santità. Dire che le sorelle Papin sono pazze, è come abolire questa cosa ammirabile, il peccato”.
    Curioso turbinio di parole e di temi alquanto densi. Di sicuro oggi le affermazioni di Picasso desterebbero scandalo e censura. Non è difficile ammetterlo: c’è della follia nel regno del surrealismo e Picasso vi ha soggiornato a lungo. Curioso inoltre che questo sottile filo della follia, che si intreccia con quello della tragedia, della trasgressione, della santità, del diritto e del peccato, ritorni dodici anni dopo, nel ’45, quando Picasso, preoccupato degli incontenibili deliri di Dora Maar, sua inseparabile amante, chiederà a Lacan di occuparsene facendola ricoverare all’ospedale psichiatrico di Sant’Anna.
     Per Picasso sempre faccende di donne, per Lacan sempre questione di teoria e di inconscio. Il discorso qui diventa enorme: si potrebbe accostare la pratica dell’arte e della sublimazione con il tema della soggettività e del godimento. Addentrarsi in queste faccende non è facile. Ci si può provare attraversando il corposo volume di Massimo Recalcati dedicato a Jacques Lacan (Raffaello Cortina 2012) il cui sottotitolo, “Desiderio, godimento e soggettivazione”, apre un orizzonte in cui l’istanza dell’arte e quella della follia possono seriamente fare i conti. Probabilmente i due giganti, Picasso e Lacan, sapevano entrambi che i conti non tornano e che questa constatazione andava presa alquanto seriamente. Cosa, del resto, a cui entrambi si sono seriamente adeguati nel loro immane lavoro. 

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