mercoledì 17 settembre 2014

AUTORIZZARSI e AUTORITA'. Di Giancarlo Ricci


Pubblichiamo la prima parte dell'articolo di Giancarlo Ricci su "Autoritas e autorizzarsi" relativo allo statuto dello psicoanalista. L'articolo è uscito presso il  4° numero dei Quaderni LETTERA dedicato a "Cura e soggettivazione" (Mimesis, 2014). 

“Come sperare di far riconoscere uno statuto legale a un’esperienza di cui non si sa neppure rispondere?”. In questa radicale e decisa considerazione che Jacques Lacan rilancia in un intervento successivo alla celebre “Proposta del 9 ottobre 1967”, l’accento è posto sulla consistenza giuridica, addirittura legale, dell’esperienza analitica. Come risponderne oggi, dopo quasi mezzo secolo? 
I tempi sono parecchio cambiati da quegli anni lontani eppure così fondativi. Se gli scenari sociali, istituzionali, giuridici (la Legge Ossicini) sono mutati, le questioni che rimangono aperte in merito allo statuto dello psicanalista, alla sua formazione, al suo riconoscimento sono quanto mai attuali. 
Soffermiamoci sulla frase iniziale di Lacan. In sintesi egli si interroga intorno alla possibilità di fondare un’esperienza, quella psicoanalitica, che abbia a pieno titolo una consistenza giuridica. Nelle annotazioni che seguono proponiamo  alcune riflessioni relative alla differenza tra due concetti basilari del diritto, quello di potestas e di auctoritas.
    Nella loro distanza infatti scorgiamo alcuni interessanti elementi che possono contribuire alla riflessione sull’esperienza dello psicoanalista. Ci sembra infatti che un’elaborazione analitica dello statuto dello psicoanalista non possa fare a meno di passare dalla differenza tra potestas e auctoritasPartiamo da alcune notazioni generali. Il diritto allo stato puro consiste nell’esercizio della potestas, ossia del potere di decidere, di nominare, di istituire una legge o una norma. Nel diritto romano, in alcuni casi era anche il potere di vita o di morte su qualcuno. Invece l'auctoritas, semplificando, indica un potere attribuito, supposto, e quindi si svolge sul versante dell’effettualità: è quell’istanza al quale rivolgiamo la nostra domanda sperando di ottenere una risposta efficace, feconda, in un certo senso improntata alla nostra soggettività e al modo con cui percepiamo l’Altro. Balza agli occhi la prossimità tra il concetto di  auctoritas e quello di soggetto supposto sapere  elaborato da Lacan a proposito della struttura del transfert.
E' interessante notare, parallelamente, che sul piano della teoria del diritto, il concetto di auctoritas presenta alcune contraddizioni e paradossi. È come se il diritto non potesse fare a meno di recepire la questione del transfert e cercasse una soluzione logica per neutralizzarla, per desoggettivarla in nome di un universalismo. Per definizione l'auctoritas  è la proprietà dell'auctor, cioè della persona (per esempio il pater familias ) che interviene per conferire validità giuridica all’atto di un soggetto. Auctor - precisa Benveniste - è “colui che promuove, prende un’iniziativa, che è il primo a produrre una qualche attività, colui che fonda”.  Auctor proviene dal verbo augeo, ossia aumentare, accrescere, “far esistere”, “produrre qualcosa dal proprio seno”. 
Giorgio Agamben nel suo lavoro Stato di eccezione, dopo aver considerato il tema della festa, del lutto e dell’anomia, dedica un paragrafo alla problematica relativa alla dialettica tra autoritas e potestas. Per esempio annota: “È sufficiente riflettere sulla formula auctor fio (diventare autore) e non semplicemente auctor sum (sono autore) per rendersi conto che essa sembra implicare non tanto l’esercizio volontario di un diritto, quanto il realizzarsi di una potenza impersonale nella persona stessa dell’auctor”. E più avanti propone un’interessante considerazione: “Ogni autore è sempre co-autore: l’autoritas non basta a se stessa: sia che autorizzi, sia che ratifichi, essa suppone un’attività estranea che essa convalida”. Se leggiamo queste parole nel contesto relativo all’autorizzarsi in quanto analista, scorgiamo la necessità logica di un’associazione psicanalitica. “L’autoritas infatti non basta a se stessa”. Esattamente come l’autorizzarsi analista da solo risulterebbe problematico.

Lungo questo versante dell’auctoritas, così ricco di implicazioni e agli antipodi della potestas - di quella potestas su cui si fondano le burocrazie, le gerarchie e le scolastiche - riscontriamo il suo riferimento all’impersonale, all’atto, al divenire, al crescere, in definitiva all’autorizzarsi. L’esercizio dell’autoritas, nella versione del “diventare autore” piuttosto che “essere autore”, ci sembra istituire l’ambito concettuale più prossimo, dal punto di vista di una teoria che tenga conto del diritto, all’autorizzarsi in quanto analista.  
Va da sé che cercare di coniugare l’autorizzarsi con una potestas risulterebbe una contraddizione in termini. Pensiamo a quale cortocircuito immaginario potrebbe avvenire se la decisione di incominciare a praticare fosse basata sull’idea di essere autorizzato da qualcuno, per esempio dall’analista. Non si tratterebbe più di autorizzarsi ma di essere autorizzato a. È evidente che se qualcuno autorizza, qualcun’altro è autorizzato. La logica qui rimane speculare, basata su una dualità che ancora si colora con tinte edipiche. Ci sembra invece che lo spirito e la teoria avanzate da Lacan a proposito del divenire analista non siano riconducibili a una forma attiva o passiva, a un farsi oggetto o soggetto, modi in cui comunque c’è un “farsi da sé”.  
Se l’autorizzarsi chiama in causa la figura dell’auctoritas, è in quanto essa esige un elemento terzo, impersonale, in definitiva presupppone una non compiutezza dell’essere a favore di un’effettualità dell’atto. Effettualità che sarà un terzo, non istituito, a riconoscere e a prendere atto che qualcuno occupa la posizione di analista. Esattamente come il funzionamento del motto di spirito. Parliamo proprio del motto di spirito, del Witz, così come lo teorizza Freud distinguendolo dalla comicità e dall’umorismo. Lacan lo dice quasi sottovoce annotandolo tra parentesi: “Chi vedrà dunque che la mia proposta si forma sul modello del motto di spirito, sul ruolo della dritte Person [terza persona]?”. E in nota aggiunge: “[...] indico questa struttura per il fatto che ancora nessuno se n’è accorto.”. 
Nella teoria dei personaggi avanzata da Freud a proposito del motto di spirito, la terza persona è quella che (talvolta) ride all’emergere di un frammento di verità rimossa, ride ascoltando ciò che la prima persona dice alla seconda. In breve: l’autorizzarsi esige una posizione terza, esige un Altro.
La comicità, che rimane nella logica di una specularità simmetrica, sarebbe il modello di qualcuno che ritiene di essere autorizzato dall’altro, da un altro che incarna l’Io ideale. Di fatto, anche dal punto di vista logico, l’autorizzarsi procede dal tre, non fosse altro che nella testimonianza che ogni pratica dell’autorizzarsi implica. Un etimo di testimonianza - ricordiamolo - riguarda  l’“enunciazione di un terzo”.  Inoltre nel “io mi autorizzo” non è affatto in gioco una specularità o una circolarità.   
Per questa via è in gioco l’esporsi soggettivo e la struttura dell’atto mancato. “L’atto è ciò per cui lo psicanalista si compromette se si trova a risponderne”. L’atto in definitiva non garantisce, è fondante ma non è fondato. L’atto non riesce se non fallendo: “C’è in gioco un reale nella formazione dello psicanalista [...]. Questo reale provoca il proprio misconoscimento, addirittura produce la propria negazione sistematica”. 
Lo psicanalista si espone dunque all’atto mancato, senza poterlo e senza doverlo assumere. Senza questa disidentificazione  - Lacan parla del disessere dello psicoanalista - egli non potrebbe tenere la posizione del transfert, quella che consente all’analizzante di articolare la supposizione che sorregge la propria domanda. In altri termini: non si tratta di pensare all’atto come se fosse inscritto in una logica binaria: o riesce o fallisce. Quanto, piuttosto, di leggere l’atto in una logica che tenga conto dell’effetto retroattivo. Solo dopo, a posteriori, ci si accorge di un effetto di verità imprevisto. L’analista è colui che non si sottrae a testimoniarne almeno un po’, a mi-dire.  
L’autorizzarsi inaugura il divenire analista. La funzione e la posizione di analista esige l’autorizzarsi, un autorizzarsi tuttavia che non si confonda con un auto-ritualizzarsi. Forse ci sono due modalità dell’auto-ritualizzarsi: la prima è quella già accennata (io, da solo, in assenza di terzietà, mi autorizzo). La seconda modalità, decisamente problematica, passa attraverso la questione del transfert, si impiglia in ciò che rimane irrisolto nel transfert. Se l’autorizzarsi presuppone dal punto di vista logico uno spostamento dalla posizione di analizzante a quella di analista, credere che sia possibile raggiungere la posizione che è stata, nel corso del transfert, quello del proprio analista, risulta sintomaticamente un miraggio narcisistico. Invece del lavoro dell’identificazione e del suo complesso attraversamento, abbiamo l’assunzione adesiva e sintomatica a un’identità immaginaria.   
L’auto-ritualizzarsi al posto dell’autorizzarsi comporta una sorta di caricatura del transfert, una sua rappresentazione attraverso un’identificazione assunta ad ideale. Quante volte, per esempio nelle vicende dell’Ècole Freudienne, alcuni “allievi” hanno rappresentato nel loro “essere psicanalisti” una parodia del proprio analista, assumendone per via sintomatica proprio quei tratti che riguardavano più la supposizione del godimento dell’analista che non il suo desiderio. “Proprio a partire dall’atto psicoanalitico bisogna individuare - afferma Lacan - quanto io articolo intorno al desiderio dello psicoanalista, che non ha niente a che fare con il desiderio di essere psicanalista”. 
Forse ciò apre, dopo tanta insistenza sul desiderio dell’analista, ad un’altra polarità, quella del godimento dell’analista su cui ci sarebbe parecchio da esplorare. Rileviamo appena che questo tema, così scottante, produce ogni genere di congetture immaginarie sia a livello nevrotico sia a livello sociale. Viene quasi il sospetto che molte obiezioni rivolte alla psicoanalisi provengano da questa polarità così opaca e fantasmatizzata. 




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