giovedì 13 novembre 2014

EPPUR SI VIVE. Di Giancarlo Ricci

Note di lettura di G. Ricci al libro di Alberto Antonio Semi    Psicoanalisi della vita quotidiana (Cortina)

Porre l’accento sulla quotidianità, come del resto fece Sigmund Freud con il suo celebre Psicopatologia della vita quotidiana che nel 1901 apriva il sipario sul nuovo secolo, comporta di fatto una sorta di anticipazione, di accelerazione. Il rassicurante motto “eppur si vive” non appartiene più all’età dell’oro della semplicità. Infatti non siamo più in attesa del futuro, ma è il futuro che ci rotola addosso, che ci investe violentemente e concretamente. E ci trova impreparati, addirittura frastornati nel tentativo di capire se qualcosa è già avvenuto o stia ancora accadendo. Come se la nostra memoria - storica, soggettiva, epocale - avesse cambiato, improvvisamente e senza informarci, il suo sistema di rappresentazione e la sua coerenza. Così la quotidianità e il quotidiano lavoro della nostra psiche, giorno dopo giorno, sembrano perdere la loro forza progettuale, sembrano sfaldarsi nell’impatto con il reale di tutti i giorni. 


Quasi non ci accorgiamo che i nostri piedi sono sulla terra e che camminano, giorno dopo giorno e ora dopo ora, nell’“ordinaria  straordinarietà della quotidianità”. Parole, quest'ultime, con cui lo psicoanalista Antonio Alberto Semi, nel suo ultimo libro Psicoanalisi della vita quotidiana (Raffaello Cortina), lancia il suo invito: “Forse sarebbe ora che tutti cercassimo di tener conto dell’inconscio nella vita quotidiana, del lavoro che implica, delle difficoltà che comporta ma anche delle possibilità che la considerazione dell’inconscio apre ai nostri occhi”. In fondo, e la sensibilità di Semi lo evidenzia in vari punti del suo lavoro, la nostra percezione del tempo è mutata e sta mutando. “Da un lato l’umanità punta, perché ne ha bisogno, sullo sviluppo dell’individuo, ma dall’altro cerca disperatamente (e spesso ci riesce) di combattere e reprimere lo sviluppo della soggettività”: ecco un punto decisivo che riaffiora spesso nel libro. E’ il tema della soggettività, che oggi sembra perdersi nei miraggi di risposte facili e rassicuranti. “Si rischia di essere travolti dall’ondata di ritorno del biologismo, del cognitivismo, dalla richiesta di guarigione rapida”. Di sicuro la complessità della realtà concreta dei nostri giorni ci costringe a uno sguardo sulla contemporaneità un po’ meno trasognato e decisamente più realista. 

L’autore pone al libro un sottotitolo che suona come una messa in guardia: “L’umanità è in pericolo?”. Per fortuna c’è il punto interrogativo. In realtà ad essere interrogato è il concetto di umanità e di umano. Il tramonto delle ideologie, il teatrino narcisistico e cinico delle individualità, gli inganni della memoria, l’appartenenza a una cultura, lo sforzo di reinventare un’altra logica che possa tenere insieme il legame sociale, il senso della religione e della spiritualità, riaprono alcune istanze della psicanalisi che parevano assopite. E’ finito il tempo in cui la psicanalisi proclamava risposte normative; oggi risulta invece uno strumento fecondo che rilancia domande e soprattutto che le mantiene aperte, aperte nel solco di un’etica del confronto e della riflessione critica. Sì, è finita (o sta finendo) l’epoca euforica illuminata dalla luce abbagliante di saperi meglio confezionati o più convincenti. Dall’adattamento “acritico” promosso dalla società del benessere alla “scomparsa della soggettività”, il passo è breve, suggerisce Semi. Il quale ha ben presente il rischio di tale scivolamento: “In quest’epoca, dopo il Novecento con tutti i suoi disastri e i suoi splendori, rispettare le condizioni di sviluppo della soggettività individuale è estremamente difficile. Ma, se non tenesse fede a questa sfida, l’umanità davvero correrebbe il rischio di regredire a una condizione artificialmente animalesca”. 

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