lunedì 20 novembre 2017

AUTORITA' & LIBERTA'. Convegno a Macerata

In occasione della Tavola Rotonda AUTORITA’ & LIBERTA’ organizzata dall’Università di Macerata 
e da altre associazioni, 
il 28 novembre 2017 alle ore 16 presso l’Auditorium, proponiamo alcuni temi dell’intervento di GIANCARLO RICCI 

Fuga dalla libertà
Ecco il punto cruciale che la modernità consegna ai nostri tempi: un’ipertrofia della libertà che crede di espandere la propria autodeterminazione all’infinito, che installa la propria fantasia di potenza credendola possibile, che fagogita l’altro, che rispecchia il proprio esistere nella padronanza di un’immagine narcisistica sempre identica. 
     Poco pensiero in questa libertà che assomiglia a una botte in cui rifugiarsi e in cui vivere, poca soggettività in questa identità virtuale che assicura una sufficiente neutralità rispetto a ciò che accade fuori. 
     La libertà come confort. E il comfort come libertà. La libertà di vivere con la minor differenza possibile va di pari passo con il maggior esercizio ritualistico di autorefenzialità. 


Accenniamo a una logica che riteniamo agli antipodi della libertà, di quella libertà di cui la psicoanalisi fornisce esperienza: l’ipertrofia delle libertà  ci sembra, propriamente, una rinuncia alla libertà. Più esattamente una “fuga dalla libertà”. 
    Nel nostro tempo, l’ipertrofia della libertà, la sua coniugazione estrema con l’autodeterminazione, ci sembrano la forma più perversa di una fuga dalla libertà. Fuga che non è tale in quanto reale o effettiva, ma in quanto è quell’illusione che incolla il soggetto al proprio fantasma di libertà. Il soggetto rimane lì, inchiodato a quella che crede la sua libertà, senza accogersi che la libertà è altrove. Perchè essa ha la consistenza di un’alterità non malleabile, è aspra, richiede fatica. E’ quasi insopportabile perchè prossima all’atto, alla decisione, all’angoscia, come riteneva Kierkegaard. La psicoanalisi coniugando la libertà tra l’inibizione, il sintomo e l’angoscia, la situa come lavoro e atto di soggettivazione. 
Nella condizione della libertà, ricorda Sartre, “Siamo soli e senza scuse [...].  E annota: “L’uomo è condannato ad essere libero: condannato perché non si è creato da se stesso, e pur tuttavia libero, perché, una volta gettato nel mondo, è responsabile di tutto ciò che fa”. Piuttosto che la responsabilità meglio dunque la fuga dalla libertà che è la politica dell’anima bella. 


La variante ipermoderna è tuttavia particolare: i nostri tempi, nell’ambito della biopolitica, non procedono più nel concedere o togliere la libertà, nel consegnarla come premio a chi la richiede, ma, molto più semplicemente nel concederla ancor prima che venga domandata. In definitiva il modo migliore per neutralizzare ogni libertà' è quello di farla implodere al suo interno. Permettere tutte le libertà per livellare ogni possibile libertà, neutralizzarla. Annichilirla. 
Riprendendo la distinzione tra “libertà da” e “libertà di”, se facciamo venir meno la prima, se ci liberiamo da tutto, la seconda risulterà talmente potenziata da risultare onnipotente: se tutto è possibile niente è possibile. O ancora, ricalcando la classica distinzione tra  “libertà negativa” e “libertà positiva” facendo venir meno la prima, abolendo cioè ogni possibile impedimento e restrizione, svanirebbe anche la seconda perchè l’autoderminazione sarebbe talmente autoreferenziale da realizzare un soggetto autonomo, una monade che si autoregola, avulsa da ogni relazione.
       Su un piano sociale ed economico siamo al grado zero a partire dal quale, come affermano alcuni, sopravanza un nuovo modello di capitalismo globale di regime neoliberista che ribalta una questione giuridica ed etica: non vieta o proibisce alcunchè, non reprime, non limita ma permette, rende possibile l’iniziativa individualista, sostiene con la tecnologia la realizzazione dei desideri, espande, si avvale e legittima un sistema perverso.
In un’altra lettura possiamo dire che dalla società

patriarcale a quella paternalistica e a quella in cui il padre è “evaporato”, si è approdati lentamente a modelli materni e maternalistici: il soggetto è sotto tutela, è protetto, è invitato a esprimere i suoi più reconditi diritti. Smantellata l’auctoritas rimane una potestas tenue e permissivista, maternalistica, propensa all’egualitarismo. In effetti solo con l’auctoritas può esistere un concetto di libertà degno, che permetta al soggetto di farsi autore dei propri atti e delle propprie azioni.
Nel capitalismo globale cambiano le forme dell’assoggettamento: quello materno non proibisce ma promette, offre benessere gratuito, permette, attraverso una logica del debito la realizzazione di ogni fantasia infantile, meglio se “perversa polimorfa”. Dall’infantile all’infantilismo il passo è breve. L’infantile pulsa in una sana e intramontabile salute, l’infantilismo ne fa la comica o patetica caricatura, assumendone i capricci. La differenza, in prospettiva, ossia lungo la crescita è enorme. Invece del diventare figlio si rimane bambino. Invece di assumere un proprio desiderio si rimane preda del desiderio dell’Altro, il che comporta che ogni responsabilità venga rifiutata per principio, in un perenne autoriferimento narcisistico.

Tutto ciò pare diventare obbligatorio, quindi necessario, e muoversi in un nuovo euforico orizzonte modernista, egualitario, ipertecnologico, politicamante corretto. Come se i diritti umani realizzandosi pienamente potessero promettere una società senza più tensioni e conflitti. Dove le differenze saranno eliminate in nome delle uguaglianze. Anzi sarà il principio dell’egualitarismo eretto a sistema a distribuire a ciascuno le stesse libertà e gli stessi diritti. Tutti saranno finalmente uguali perché dovranno godere delle stesse libertà.