lunedì 11 aprile 2016

Lo strazio di LAHORE. Di Luciana Piddiu

Pubblichiamo queste considerazioni di LUCIANA PIDDIU intorno all'attentato di Lahore (Pakistan) del 27 marzo 2016. La supremazia della morte praticata dal terrorismo
è tutt'altra cosa dal martirio. 


“Là dove si fa violenza all’uomo, la si fa anche al linguaggio” 
Primo Levi, I sommersi e i salvati
                                                                  
Mi verrebbe da dire, parafrasando Primo Levi (“…là dove si fa violenza all’uomo, la si fa anche al linguaggio”) che vale anche il contrario: se si fa violenza al linguaggio, la si fa anche agli esseri umani. E lo dico a ragion veduta, in polemica con quanti, scrittori, giornalisti, intellettuali, chiamano  shahid, martiri, i fondamentalisti islamici.
Il martire, dalla parola greca μάρτυς, é colui che testimonia la propria fede nonostante le persecuzioni e arriva anche ad accettare la morte pur di non abiurare. Nella nostra cultura  il martirio ha un’accezione positiva, denota coraggio, forza d’animo, fedeltà a se stessi e ai propri ideali.
Tant’é che per estensione il termine é stato attribuito anche a coloro che sono morti per difendere i loro valori in nome della libertà,  penso a Ipazia, a Giordano Bruno, a Salvo D’Acquisto. La parola evoca una disposizione d’animo di grande generosità, la capacità  di compiere un gesto straordinario. Per questo non possiamo accreditare l’idea che i terroristi islamici siano shahid, martiri, come loro per primi vorrebbero farci credere nelle loro azioni di propaganda e di proselitismo.

  Farsi esplodere in mezzo a persone inermi, provocare morte e dolore inutili, non fa di loro i nuovi martiri del XXI secolo. No davvero! Che ne siano o no consapevoli, che siano o meno manipolati e funzionali ad un progetto politico di cui sono semplici pedine, essi sono e restano stragisti assassini. Cosi li dobbiamo chiamare.
Arrogarsi il diritto e il potere di dare la morte, interpretando alla lettera quanto dice il Libro  ‘’Non lasciar sulla terra - dei Negatori - vivo nessuno’’ (Corano 71:26) non puo’ in alcun modo essere equiparato all’atto di chi la morte la subisce per non tradire la propria fede. La semplice torsione linguistica che li accredita come martiri presso l’opinione pubblica rischia di sdoganare le stragi  compiute in preda a una sorta di delirio di onnipotenza, conferendo loro valore epico.
Nell’attentato di Lahore decine di bambini sono stati falcidiati
senza pietà. Quel gesto estremo e irrimediabile non é testimonianza di fede, gesto d’amore per la vita e i viventi ma sigillo mortifero: sancisce nella sua feroce crudeltà la supremazia della morte sulla vita.
La distanza fra il martire del primo cristianesimo  e lo shahid attuale ci consente tuttavia di cogliere un aspetto peculiare della concezione religiosa - tuttora  diffusa nell’Islam - se diamo credito a quanto scrive il poeta siriano Adonis nel suo libro Violenza ed Islam. La svalorizzazione della vita che accomuna i terroristi e rende invece seducente la morte, é strettamente connessa alla visione secondo la quale la morte é l’orizzonte della vita. Il potere di dare la morte é assai piu’ affascinante e virile del potere di generare la vita, soprattutto se accompagnato dalla convinzione di essere gli esecutori materiali della volontà di Allah. E dopo  a coronamento e premio, il Paradiso.
«S’assomiglia il Giardino - promesso ai timorati di Dio - a qualcosa nella quale scorrono i fiumi e i suoi frutti saranno perenni»   senza considerare l’attrattiva di un numero di «spose purissime» «fanciulle modeste di sguardo, bellissime d’occhi» mai prima toccate da uomini.
Siderale - oserei dire - la distanza rispetto alla concezione cristiana in cui la nascita é al centro dell’intera vicenda umana. Scrive Agostino in De civitate Dei: «Perché ci fosse un inizio fu creato l’uomo, prima del quale non esisteva nessuno». La nascita segna il prodursi di una novità nel mondo, fa apparire qualcuno che prima non c’era. Centrale in questa prospettiva la nascita del Bambino Divino: ad esso e alla sua testimonianza sulla croce é legata la salvezza dell’umanità.
Ma anche chi - come me - non puo’  caricare la nascita di un significato soprannaturale e trascendente, non puo’ non riconoscere la pregnanza di quanto scrisse Hannah Arendt in una lettera ad Heinrich Blücher - dopo aver assistito a Monaco alla rappresentazione dell’Oratorio di Haendel «Il Messia»: «Che opera! L’Alleluja mi risuona ancora nelle orecchie e nel corpo. Per la prima volta ho capito com’é formidabile: un bambino ci é nato! Il Cristianesimo é nonostante tutto qualcosa!».
Con la nascita di un bambino qualcosa di nuovo arriva al mondo. Il nuovo venuto spariglia le carte, introduce l’inedito e l’imprevedibile, porta con sé la speranza di una salvezza sempre possibile nel mondo anche nelle condizioni peggiori: l’esatto contrario della supremazia della morte e del suo dominio che negano alla radice il percorso del farsi umano. (30 marzo 2016) 




venerdì 1 aprile 2016

Sulla sessualità e la politica. Confronti

Sabato 2 aprile alle ore 17.30 a Macerata 
si svolge la presentazione del libro di G. Ricci 
Sessualità e politica. Viaggio nell'arcipelago gender (Sugarco)


Un certo uso ideologico dello scientismo e delle biotecnologie pretende di smantellare i concetti fondanti la nostra civiltà: l’identità sessuale, la differenza tra i sessi, la famiglia, la filiazione. Sulla soglia di una mutazione antropologica la visione gender impone la propria idea di uguaglianza e di libertà di godimento in nome di un diritto propagandato come bene comune. 
           Quale spazio rimane alla soggettività e all’umano? 
In questo libro l’autore - dopo Il padre dov’era – individua 6o voci che mappano un terreno su cui si gioca una scommessa decisiva. E’ un viaggio in cui vengono attraversati alcuni concetti cardine della psicanalisi, della filosofia, del diritto, dell’antropologia. Una serie di rinvii interni permette al lettore di costruirsi un suo personale percorso di lettura.