martedì 20 dicembre 2016

SENSO E DESTINO DELLA PSICANALISI. Intervento di Giorgio Landoni

Giorgio Landoni interviene sul libro LA FOLLIA RITROVATA. Senso e realtà dell’esperienza psicanalitica di Giovanni Sias 
Edizioni Alpes, Roma, 2015.



Dedicato a Giuseppe Pontiggia, quest’ultimo libro di Giovanni Sias si inserisce nel solco della battagliera riflessione che l’autore conduce da anni intorno al destino della psicanalisi assediata dalla dittatura soffice del burocratismo della nostra epoca.

Esso si riferisce anche, in modo non abituale, a un pensiero non familiare al lettore occidentale, quello di Vitalij Machlin, intellettuale russo in particolare interessato alla questione del pensare e del pensiero nel tempo presente caratterizzato dalla contingenza di icone mediatiche audiovisive e dalla velocità con la quale esse appaiono e si dissolvono nel nulla.
Un libro smilzo che, circa in un centinaio di pagine, tocca il tema della follia per dare anche un senso all’esperienza della psicanalisi, come recita il titolo. Pur se smilzo, si tratta però di un libro di lettura non facile e l’autore ne sembra consapevole. Nella penultima pagina dell’introduzione egli stesso parla di “sconclusionata conclusione della sua stesura”, intendendo sottolineare l’andamento erratico del suo scritto, soggetto a continue variazioni e salti del discorso, al contempo ricchissimo di riferimenti, letterari, filosofici, lessicali, linguistici, artistici, storici, ma continuamente sfuggente e quasi inafferrabile.  Malgrado ciò mi è parso di potervi individuare due caratteristiche che, contrariamente a quanto appena affermato, sembrano conferire a questo scritto una sorta di continuità metatestuale. 


Da esse desidero quindi iniziare il mio commento. Da un lato Sias collega questa erraticità, che rinvia alla metodologia originaria di Freud della libera associazione (il libro ne ha l’andamento), alla psicanalisi intesa non tanto come disciplina autonoma, quanto come parte della cultura del Novecento, ossia come uno dei molti modi in cui il pensiero si manifesta nel nostro tempo. Più radicalmente si potrebbe anche dire che egli intenda tutta la cultura come continua formazione dell’inconscio, un sintomo il quale porta in sé un disagio come tutti i sintomi. Una cultura di tipo idolatrico, seguendo il pensiero di Silvano Petrosino, sempre pronta a distruggere l’idolo appena creato per adorare il prossimo tosto consumato e consunto, con un ritmo frenetico che, contrapposto alla lentezza paziente del processo psicanalitico, permette di comprendere molte cose dell’atteggiamento corrente verso la psicanalisi.

Giustamente Sias nota che l’autoreferenzialità della psicanalisi ne ha fatto una pratica banale di impronta sanitaria e, in quanto tale,  poco significativa rispetto ad altre pratiche che il mercato continuamente propone per la  propria stessa sopravvivenza. 
Sorge qualche domanda: quale il disagio della cultura attualmente? Quali le manifestazioni specifiche di questo disagio e come poterle collegare alla psicanalisi, fosse pure anche solo in una opposizione radicale? Questi temi non trovano uno svolgimento specifico nel libro.
Il secondo dei due filoni di continuità, in questo scritto discontinuo, mi è sembrato il più interessante come guida della mia lettura. 
Infatti questo testo, scritto da uno psicanalista, non può essere considerato come un testo psicanalitico. Anche se esso si situa certamente nella continuità del pensiero di Giovanni Sias, si tratta di una continuità non di dottrina bensì politica. Questo è un libro politico: erasmiano, goethiano e (quindi) politico.
Non vedo altro modo di rendergli giustizia. E’ un libro impregnato di passione, impetuoso e gagliardo fino all’invettiva, il che se talvolta nuoce a una chiara comprensione di alcuni dettagli del testo, non ne cela però senso e obiettivi nell’insieme, perché essi sono enunciati chiaramente e continuamente dall’autore soprattutto nel modo contestatore che lo caratterizza. 
Un libro che irride agli uomini che applaudono chi li inganna anche se non pretende di smascherare l’ingannatore che cerca l’applauso. L’intento, l’intenzione erasmiana è quella di mostrare che quello della follia è un terreno da sempre particolarmente infido e scivoloso. La follia è storia di parole sottratte (Foucault) a cui Freud contrappone la psicanalisi fondandola “... sul tentativo di ricondurre alla parola l’indicibile che colonizza il corpo isterico” (C. Matteini). 
La follia è indipendente da ogni produzione di pensiero e la psicanalisi nasce dal fatto di considerarla come stato essenziale e costitutivo della condizione umana. Dunque un punto di partenza che sottolinea l’impossibilità, salvo che si ricorra all’inganno peraltro a sua volta costitutivo della politica, di separare la follia dall’essenza dell’uomo, facendone una categoria della tassonomia sanitaria. Da qui parte una critica serrata del vuoto su cui si fondano gran parte dei valori al riguardo comunemente ammessi dalla correttezza sociopolitica nonché i comportamenti perseguiti e imposti ope legis dal potere.
In un suo bel testo di commento all’opera di Dino Campana, C. Matteini descrive la follia come: “...luogo emblematico di una ragione “altra”, funzione culturale indispensabile...” . E’ l’idea di Giovanni Sias.
Per lui la follia è la messa in campo del desiderio e della sua insensatezza o per dire meglio del soggetto umano come soggetto di desiderio e il suo ritrovamento consiste nell’esperienza psicanalitica, a partire da Freud, che egli contrappone alle varie forme di controllo sociale di cui le psicoterapie sono l’ultima manifestazione.