sabato 23 marzo 2013

L'INCIVILTA' DEL GODIMENTO


Abbiamo rivolto un paio di domande al sociologo FEDERICO CHICCHI, autore del libro SOGGETTIVITA' SMARRITA (Bruno Mondadori, Milano 2013). L'intervista completa è reperibile sulla rivista di psicoanalisi Lettera, n. 3 (et al /Ed.)

       Una delle tesi centrali del libro è quella che viene formulata come: inciviltà del godimento. Essa apre una prospettiva assolutamente nuova nel senso che segna un punto di svolta, una “mutazione antropologica”. In che misura questo tema dell’inciviltà del godimento costituisce uno spartiacque decisivo ed essenziale per il nostro futuro? 

In effetti nel volume propongo l’espressione inciviltà del godimento. Ci tengo però a precisare che il mio intento non è stato quello di demonizzare il godimento come tale, come se questo fosse sempre un momento distruttivo e mortifero dell’esperienza soggettiva. 


Quello che mi premeva denunciare, seguendo qui alcune suggestioni di Slavoj Žižek, era invece l’imperante generalizzazione della spinta a godere ad ogni costo, accompagnata dal rischio di rendere evanescente il limite che la normatività intrinseca alla relazione sociale porta necessariamente con sé. Questo imperativo osceno, oltre che consumare e distruggere desiderio, produce una sorta di delirio autistico nel soggetto, all’interno del quale trova cittadinanza una cinica, perversa e maniacale, vanità egoica. Questo imperativo non è altro che il programma antropologico dell’inciviltà neoliberale. Programma che, a mio avviso, occorre contrastare. 

martedì 12 marzo 2013

CHE MADRI AVETE AVUTO di Giancarlo Ricci

Pubblichiamo un brano del libro IL PADRE DOV'ERA (Sugarco 2013) di G. Ricci relativo alla questione della madre. L'esergo è una poesia di P. P. Pasolini 
"Che madri avete avuto": 

Madri mediocri, che non hanno avuto 
per voi mai una parola d’amore,
se non d’un amore sordidamente muto 
di bestia, e in esso v’hanno cresciuto,
impotenti ai reali richiami del cuore.

Non c’è domanda più radicale, e al tempo stesso più intima, che interroga così insistentemente come questa Ballata delle madri scritta da Pasolini: “Mi domando che madri avete avuto”. Ossia: che sguardo hanno avuto per i loro figli, che cosa hanno inteso di loro, come lo hanno amato, come si è coniugato il loro desiderio verso il figlio. La lirica di Pasolini gronda di amore e di rabbia, esprime il “dolore di essere uomini” e indica una sorta di desolante maledizione. 



  Non si tratta, come spesso evoca una certa retorica buonista, del tenero amore del figlio verso la madre. Piuttosto è il contrario: è l’amore “sordidamente muto” della madre a risultare tragico, “mostruoso”. Pasolini in un’intervista ammette di aver pensato per molto tempo a qualcosa di inquietante:  “L’insieme della mia vita eroica ed emotiva (credevo che) fosse il risultato del mio amore eccessivo, quasi mostruoso verso mia madre”. Questa mostruosità in effetti è sempre sul punto di ribaltarsi fino a coincidere con la lucida consapevolezza di essere oggetto d’amore esclusivo e privilegiato da parte della madre. 
     In un’altra poesia dal titolo Supplica a mia madre, il poeta scrive parole incandescenti: “Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:/è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia./ Sei insostituibile. Per questo è dannata/ alla solitudine la vita che mi hai dato./ E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame/d’amore, dell’amore di corpi senza anima (...)"
    Che madri avete avuto. Questione che è il fulcro della soggettività umana. L’esito riguarda la sessualità del figlio, la sua possibilità di amare una donna che non sia la propria madre. Riguarda la possibilità di impostare con una donna un progetto di vita nel nome di una relazione d’amore. Riguarda anche la natura del legame con gli altri e con l’altro sesso, l’affettività, la propria identità maschile e altro. Molta letteratura psicanalitica ha posto l’accento sulla madre divorante, castratrice. Tuttavia c’è madre e madre. 

giovedì 7 marzo 2013

SCIENZA, CREDENZE E VERITA'

Dalla rivista di psicanalisi LETTERa
(n. 3, Joyce. Sinthomo, arte, follia, et al./ Edizioni, Milano 2013) pubblichiamo la recensione di G. Ricci al libro di 
GIOVANNI SIAS, Appunti per una nuova epistemologia. Psicanalisi, scienza, verità (ZonaFranca, 2012).


Ci sono eserghi che introducono o ispirano il lavoro di un autore. In questo libro, i due eserghi che Giovanni Sias pone in apertura alla sua ricerca sono molto di più: un programma di ricerca e una precisa direzione indicata dall’ago di una bussola. 



Ecco il primo esergo, di Lacan (da Funzione e campo della parola): “Se la psicoanalisi può diventare una scienza - dato che non lo è ancora - e se non deve degenerare nella sua tecnica - e forse è cosa già fatta - dobbiamo ritrovare il senso della sua esperienza”. La frase - siamo all’inizio degli anni ’50 - luccica ancora oggi, dopo più di mezzo secolo, trasmettendo alcuni interrogativi nell’opaca indifferenza dei nostri tempi. 
     E' una frase che interroga la contemporaneità, che mette il dito nella piaga in quei discorsi (mediatici, culturali, sociologici, universitari) ormai colonizzati da uno scientismo trionfante, dove il riferimento alla tecnica decide il vero e il falso, l’utile e il superfluo, il profitto e il dispendio. Siamo nell’era della misurabilità.