venerdì 1 maggio 2015

L'ETERNITA' INVECCHIA. Sulla poesia di Celan. Di MARIO AJAZZI MANCINI

Giovedì 28 maggio alle ore 18.30, 
presso i FRIGORIFERI MILANESI (via Piranesi 10 - Milano) si svolge la presentazione del libro di Mario Ajazzi Mancini L'eternità invecchia. Sulla poesia di Celan 
(Orthotes Edizioni). 
Oltre all'autore intervengono: Dario Borso, Nicole Janigro, Rosalba Maletta, Giancarlo Ricci

Lungo uno schema “narrativo” il libro si presenta come una serie di letture  intorno all’ultima produzione di Paul Celan, alla cosiddetta opera postuma (dal 1967 al 1970). L'eternità invecchia che riprende e completa un lavoro svolto in un volume precedente (A nord del futuro,  Clinamen 2009) è anche un libro sulla traduzione. Esso interroga la lingua italiana a partire dal confronto con un testo originale straordinariamente arduo, ma tale anche da offrirle opportunità di trasformazione e “arricchimento”. In questa prospettiva, la riflessione sulla lingua diviene per lo più riflessione filosofica sulla poesia, intesa come condizione estrema del significare, limite di dicibilità sul bordo dell’insensatezza. I temi sono le “cose ultime” e il modo in cui è ci concesso parlarne: la vita, la morte, il sacrificio, l’incontro, il dialogo, l’attenzione, la preghiera, la follia… 
Leonardo, Diluvio, 1515 ca.
Queste "cose ultime" si presentano nella scrittura di Celan in un' infinita varietà di forme. In tal senso egli è un mirabile interprete del ‘900. La sua opera conclusiva sporge con decisione dai confini storici, e offre al pensiero, alla parola la speranza di un oltre. Un oltre talvolta anche luminoso. Letture, storie di lettura, intorno all’ultima produzione poetica di Paul Celan, che cercano di sporgersi oltre la soglia idealmente tracciata dalla raccolta Atemwende (Svolta di respiro) del 1965 – pubblicata nel 1967. Per raccontare degli ultimi anni di una vita dedicata alla memoria e alla poesia, alla testimonianza di una ignominia (la Shoah) e alla ricerca inesausta di un dire che potesse essere innocente nella lingua di chi forse non potrà mai esserlo. Ma anche ad accordare alla scrittura una fiducia tanto impossibile quanto straordinaria, per la sua capacità di fare argine, di compattarsi sul bordo dell’insensatezza. Posta etica che si trascrive nella massima densità di una parola, talvolta una singola parola, che è limite e sfida per la traduzione. Tanto feconda nondimeno da concedere uno sguardo differente sulle medesime cose che questa poesia indica come decisive e inaggirabili. Preghiera, sacrificio, speranza, dialogo (perfino nella follia) ... Tanto sul versante degli interlocutori quanto dei luoghi di un confronto dal passo serrato sulle piste di quest’avventura, affinché dall’Assisi di Francesco, dalla Hütte di Heidegger, dal monte Moriah, da Parigi e Gerusalemme, sia possibile affermare che la vita è da benedire, da dire bene ogni volta che c’è, e che si attesta nella mirabile varietà dei nomi, delle figure in cui si declina, siano quelle di un ciuchino mansueto, dell’ariete sacrificale, delle lucciole (vers luisants) che continuano a vagare, intermittenti lumicini di affidamento, speranzosamente accordato a ogni incontro.