giovedì 13 giugno 2019

IL CINEMA DI BERGMAN


Sul capolavoro di Ingmar Bergman, IL SETTIMO SIGILLO (1956)  si svolgono 
due serate ideate e curate da Davide Bersan

Le date sono: mercoledì 19 e 26 giugno 2019 

alle h. 20.30 presso la Biblioteca di via Valvassori Peroni, 56 (MM Lambrate). 

La prima serata sarà di tipo introduttivo sulla biografia e sui grandi temi portati avanti dall'autore per passare poi al film la cui trama si svolge in un cupo Medio Evo, in una Svezia flagellata dalla peste in cui un cavaliere  tornato dalle crociate si gioca la vita che gli rimane in una misteriosa partita a scacchi con la morte... 

Nel secondo incontro sarà dato maggiore spazio agli interventi dei presenti e alla conversazione guidata. 
Questo appuntamento è anche un momento 
per condividere i numerosi stimoli culturale 
che le opere dei grandi autori 
sanno suggerirci. 



Alcune note di DAVIDE BERSAN

Un cavaliere crociato e il suo scudiero dormono sui sassi di una spiaggia deserta della Svezia. Al risveglio il cavaliere si mette a pregare, poi si accorge della presenza di un personaggio misterioso che rivela essere la Morte. Inizia con lui una partita a scacchi che deciderà della sorte del cavaliere: la morte o la vita.
La partita sarà il tema dominante del racconto ma sarà intervallata da numerosi episodi che contestualizzeranno e insieme forniranno elementi al cavaliere per indirizzare la sua ricerca interiore. 
La vicenda del cavaliere Antonius Block e del suo scudiero Jons si intrecceranno con quella del gruppo di attori girovaghi formato dal capocomitiva Skat e da Jof, la moglie Mia e il figlioletto Michael. In una Svezia martoriata dalla peste nera che incombe, si muovono figure come l’ex seminarista Raval, che ora ruba ai cadaveri, cortei di flagellanti guidati da monaci invasati, una ragazzina accusata di stregoneria e condannata al rogo, una giovane donna rimasta totalmente sola che decide di seguire lo scudiero Jons, la moglie di un fabbro che lo tradisce con l’attore Skat e poi alla fine ritorna col marito. 

Intanto la partita a scacchi continua e alla fine è la Morte che ha la meglio ma la sua vittoria non è su tutti i fronti: a causa di una lieve distrazione a cui il cavaliere non è estraneo, la famiglia di attori girovaghi le sfugge. L’incontro fatale con la Morte avviene per tutti gli altri al castello del cavaliere dove c’è ancora ad attenderlo la fedele moglie Karen.  
Jof il giocoliere che ha il dono di vedere l’invisibile, contemplerà poi nel lontano orizzonte la macabra danza della Morte con la falce in mano, che si trascina dietro le sue prede umane costrette a danzare con lei al suo passo, tenendosi per mano.

Il settimo sigillo é il film di Ingmar Bergman del 1956 che lo pone definitivamente ai vertici del cinema internazionale come autore di grande livello e straordinaria bravura. Il trentottenne Bergman riesce a trarre da un suo precedente testo teatrale un’opera che come poche altre riesce a mettere lo spettatore di fronte ai propri interrogativi più atavici e profondi. E lo fa utilizzando un repertorio di linguaggio ricco di simboli soprattutto biblici (lo stesso titolo è tratto dal libro dell’Apocalisse dell’apostolo Giovanni) ma anche tratto da una religiosità e da una mitologia di tipo popolare e naturalistico. Il Medio Evo è il medium contestuale in cui egli colloca la vicenda narrata, ma trattasi di un Medio Evo ricostruito attraverso i suoi ricordi d’infanzia, quando seguiva il padre pastore luterano nelle sue visite alle antiche chiese del Nord della Svezia per officiarvi  il culto e il figlio si impressionava davanti ai misteriosi e antichi  affreschi. Di esso  richiama esclusivamente alcuni aspetti, quelli cioè a lui congeniali a collocarvi quel confronto serrato  tra la coscienza umana e la morte che peraltro impegna gli uomini di tutti i tempi.
Anche dei contemporanei di Bergman (siamo negli anni 50, in piena guerra fredda) che avvertivano incombere con angoscia il pericolo dell’ecatombe atomica. E’ un confronto sollecitato nel racconto filmico dal propagarsi minaccioso della peste, a cui si aggiungono  in un crescendo assillante le domande rivolte al Dio cristiano, al suo tacere di fronte al male del mondo e ai tormenti della coscienza che non trova risposte. Interrogativi sul significato dell’esistenza umana che verosimilmente agitano lo stesso Bergman che riversa in questo film come in tanti altri i temi di fondo del suo percorso biografico. E sotto questa luce si può ancora leggere  la sua critica pungente  rivolta alla chiesa come istituzione con la denuncia e messa a nudo dell’ipocrisia, della malafede e delle pratiche superstiziose, spesso sulle spalle della  gente del popolo che brancola nel buio. In tale contesto non mancano tuttavia quelli che esorcizzano la paura della peste dilettandosi con i piaceri terreni. E neppure gli umili e i puri di cuore come la famiglia di attori girovaghi, figure-chiave del racconto filmico.  Il cavaliere crociato mostrato nelle prime sequenze, dopo essere ritornato in patria al termine della sua impresa fallimentare, si appresta a sfidare la Morte stessa in una partita a scacchi come l’ha sentito raccontare nelle saghe popolari e  visto raffigurare nei dipinti. Gli servirà a salvare la pelle se vincerà. Ma se perderà, se la Morte gli darà scacco matto avrà comunque guadagnato del tempo. E questo tempo gli sarà utile per cercare di capire, per impegnarsi con grande apprensione (ormai non c’è molto tempo) a trovare il senso della sua vita, a dare un significato al tempo che gli rimane.  E’ senz’altro un Bergman che insieme agli interrogativi lascia ancora aperte delle porte al senso della trascendenza, che sembra non  escluderla come possibilità salvifica per l’uomo. Certo neppure si può dire che l’apertura del settimo e ultimo sigillo del rotolo che nel libro dell’Apocalisse (in greco rivelazione) è tenuto in mano dall’Agnello  segnato con le stigmate del sacrificio estremo, dischiuda alla fine del film una verità risolutiva. Rimane tuttavia il mistero, visto e raccontato da Jof, il saltimbanco che ha il dono delle visioni, di quella danza macabra (altro topos iconografico) di coloro che tenuti per mano senza alcuna distinzione di classe o rango sociale dalla figura nera  con il mantello, la falce e la clessidra, si allontanano nell’orizzonte verso un’alba che li rischiara mentre una debole pioggia  bagna la loro fronte  lavandola dal sudore e dalla polvere.