LONDRA – Un resoconto di
Luciana Piddiu sulla conferenza internazionale del mondo mussulmano che a fine
luglio 2017 si è confrontato sulla libertà di coscienza e di espressione.
Si è chiusa con un’attività di bodypainting, la
Conferenza Internazionale sulla libertà di coscienza e di espressione, tenutasi
a luglio a Londra e definita dagli organizzatori ll più grande
raduno di ex-musulmani della storia !
Per giorni
centinaia di intellettuali, spesso giovani, che vivono nell’incubo di
attentati, o rischiano severe condanne penali solo perché non credono più nella
religione islamica, hanno discusso le migliori strategie da seguire. Sono
arrivati da ogni parte del mondo e le misure di sicurezza sono impressionanti.
Abbiamo appreso del luogo della Conferenza, un bell’albergo al Covent Garden,
solo il giorno prima dell’apertura dei lavori, impegnandoci a non farne parola
con nessuno.
L’aria che si
respirava nelle belle sale e’ stata straordinaria. Il confronto serrato si e’
svolto in un clima di grande rispetto;
solo qualche momento di tensione quando Inna Schevchenko, leader di Femen,
argomenta polemicamente che le religioni tutte, e non solo quella islamica, sono
dei virus mortali da cui liberarsi. O quando, sul fronte opposto, interviene
Ani Zonneveld, nata in Malesia, che è imam e guida spirituale di una comunità
islamica a Los Angeles e, fervida credente, si batte per riformare la religione
di Maometto impregnandola di valori progressisti.
Ma l’anima di
questa tre giorni è certamente l’iraniana Maryam Namazie. Si batte da
anni perché siano riconosciuti i diritti di tutti, credenti e non. A molti invitati è stata impedita la partecipazione e Maryam sottolinea la necessità di lottare anche per loro. “Siamo lo tsunami che sta arrivando” così conclude il suo intervento.
anni perché siano riconosciuti i diritti di tutti, credenti e non. A molti invitati è stata impedita la partecipazione e Maryam sottolinea la necessità di lottare anche per loro. “Siamo lo tsunami che sta arrivando” così conclude il suo intervento.
Grandi
emozioni quando sale sul palco la giovanissima Sadia Hameed, cittadina
inglese di origini pakistane, che termina il suo intervento con gli occhi pieni di lacrime. Racconta di quando disse alla famiglia che aveva perso la fede e il commento del padre fu terribile: “Avrei dovuto strangolarti alla nascita.” Parla della lunga segregazione in casa, resa atroce dal dolore di essere rifiutata dai genitori e dal terribile suicidio del fratello. In molte enclave di immigrati di religione islamica delle nostre metropoli essere non- credenti è ancora un marchio d’infamia che distrugge l’onore dell’intero clan familiare.
inglese di origini pakistane, che termina il suo intervento con gli occhi pieni di lacrime. Racconta di quando disse alla famiglia che aveva perso la fede e il commento del padre fu terribile: “Avrei dovuto strangolarti alla nascita.” Parla della lunga segregazione in casa, resa atroce dal dolore di essere rifiutata dai genitori e dal terribile suicidio del fratello. In molte enclave di immigrati di religione islamica delle nostre metropoli essere non- credenti è ancora un marchio d’infamia che distrugge l’onore dell’intero clan familiare.
L’acme della
prima giornata si tocca con la proiezione di un documentario molto crudo.
Testimonia l’uccisione a colpi di machete, per strada, di Avijiti Roy,
ingegnere americano di origine bengalese, che aveva fondato un blog per la
diffusione del libero pensiero. È il 26 Febbraio 2016 e Avijiti si trova a
Dhaka, la capitale, per presentare un suo libro insieme alla moglie Bonya
Ahmed. È lei a raccontarci dal palco quello che è successo. Lei, che nel video
compare, ricoperta del sangue del marito, sgozzato al suo fianco. Ora si batte perché
gli islamisti responsabili del delitto non restino impuniti. Ma la cosa che più
colpisce, in questa donna dallo sguardo fiero e malinconico, è l’uso di un
linguaggio pacato. Nessuna parola di odio o intolleranza da parte sua. “Occorre
educare a una visione scientifica per evitare il diffondersi del fanatismo
religioso, ma bisogna anche capire che la religione è parte della cultura e la
maggior parte delle persone è credente“.
I temi al
centro della seconda giornata - la resistenza delle donne, il velo,
comunitarismo e multiculturalismo - lasciano intravedere che si parlerà di
misoginia e di sessismo e si andrà a fondo sulla condizione delle donne.
Zineb El
Rhazoui è una giovane donna marocchina. Parla con veemenza e senza nulla
concedere al politicamente corretto, della necessità di distruggere il fascismo
islamico che avanza. “Quando ci sono attentati, stragi e decapitazioni; quando
si documentano lapidazioni pubbliche in nome della religione islamica, subito
si alzano le voci ‘Questo non è il vero Islam!’. Il vero Islam è una religione
di pace. Dov’è questo vero Islam? Non mi interessa discutere di un’astrazione.
Io voglio fermare quei musulmani in carne e ossa che uccidono e massacrano in
nome della religione”.
Dello stesso
tenore è l’intervento di Gona Saed, cofondatrice del Kurdistan Secular centre.
Mette in guardia dal pericolo di sottovalutare il progetto politico dell’Islam
radicale che si batte, ovunque, per l’applicazione della shaaria. In Occidente,
per un malinteso senso di colpa per le politiche coloniali, si è concesso il
lasciapassare a posizioni oltranziste e del tutto inconciliabili con i diritti
umani universali. Nella liberale Inghilterra si praticano mutilazioni genitali
femminili, segregazione di donne, matrimoni forzati in nome del rispetto della
diversità culturale. Qualunque critica a queste pratiche viene tacciata di
islamofobia. Ma il non criticare pratiche sociali così dissonanti con i nostri
valori è - come sostiene la regista tunisina Nadia El Fani - una forma di
razzismo verso i musulmani, giudicati implicitamente non all’altezza dei valori
fondanti delle democrazie occidentali. Il multi-culturalismo si trasforma così
in multi-ghettismo; una chiusura che opprime i più deboli, in primo luogo le
donne e le bambine e schiaccia le minoranze, come gli omosessuali e i
non-credenti.
La
discussione non finisce certo con la conferenza di Londra ma da questo angolo
particolare di osservazione si sprigiona una grande forza e una speranza che
nasce da un’umanità consapevole e attenta, piena di spiritualità.
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