venerdì 26 aprile 2013

COSA RESTA AL FIGLIO. . . di Giancarlo Ricci

Il disagio giovanile ma anche lo statuto di figlio oggi. 
Il tema dell'eredità, del divenire, per progetto. Irrompe un nuovo protagonista: il figlio -Telemaco, colui che scruta l'orizzonte del mare e attende che qualcuno arrivi.  
Massimo RECALCATI con il libro Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre, Feltrinelli)  propone Telemaco come figura che ci permette di leggere differentemente la situazione dei giovani oggi. 


Il tema dei giovani, del loro disagio, del loro avvenire è enorme. Se la trasmissione tra le generazioni si interrompe, se l’eredità si disperde, se i processi di filiazione simbolica si sfilacciano, l’umano rischia di estinguersi e di spegnersi. Non è in gioco la sovravvivenza dell’individuo ma quello della collettività, ossia di un patrimonio che “per possederlo davvero” occorre riconquistarlo. E se non viene riconquistato dai giovani rimane abbandonato, in disuso, dismesso, non attinto. 
La situazione d’emergenza in cui oggi si trovano i giovani, altro non è che lo specchio dell’estremo disagio della nostra civiltà. Non tanto nel senso che i giovani si rispecchiano nel mondo degli adulti. Ma che i giovani attuano, come dinanzi a uno specchio deformante, una sorta di caricatura o di parodia dei punti scabrosi e sintomatici della società: il cinismo diventa bullismo, il disfattismo si trasforma in vandalismo, l’inebriamento diventa sordo ottundimento, la libertà secondo cui tutto è possibile diventa dissipazione. 
“Il mito della libertà senza vincoli - osserva Recalcati - è un miraggio ipermoderno che fomenta la riduzione perversa della libertà - scissa da ogni forma di responsabilità etica - alla pura volontà di godimento”. Fino a un decennio fa, la volontà di godimento non era forse l’obiettivo edonista e liberatorio, che di generazione in generazione, veniva additato come un traguardo di civiltà? Appunto, le carte erano truccate. Cosa resta allora ai figli? Cosa resta ai giovani? Possono rimanere relegati in una terra di nessuno quasi fosse una riserva in cui sopravvivere senza speranza e senza progetto?



“Questa crisi, unita a una serie di trasformazioni che hanno investito profondamente la nostra vita collettiva, impone l’ingresso sulla scena di un nuovo protagonista: la figura del figlio-Telemaco”. Telemaco, colui che attende dal mare l’arrivo del padre Odisseo, forse è colui che sa fare dell’attesa un’arte. “Con questa figura si vuole proporre un modo nuovo di leggere il rapporto attuale tra genitori e figli. Mentre col figlio-Edipo in primo piano è stato il conflitto tra le generazioni, la lotta, lo scontro fra due diverse concezioni del mondo, il rifiuto dell’eredità, il rifiuto dell’essere figli, col figlio-Narciso è divenuta centrale l’assimilazione indistinta dei genitori coi propri figli, la confusione tra le generazioni, l’assenza di conflitti e il culto di una felicità individuale senza legami con l’Altro. Il figlio-Telemaco è invece una nuova interpretazione del disagio attuale della giovinezza. Telemaco è il simbolo del “giusto erede”: egli sa essere figlio e sa compiere il viaggio più pericoloso per essere un erede. Egli ci mostra come si può essere figli senza rinunciare al proprio desiderio”.
Parlare del disagio dei giovani significa tracciare il posizionamento sociale e culturale del significante figlio. Se il figlio è negato, abbandonato, rinnegato, è la società stessa che svanisce, perchè ad essere negato è l’idea stessa di futuro, di discendenza, di filiazione, di progettualità del vivibile. Negare il figlio significa negare l’Altro. Più propriamente significa negare il padre, abolirlo. Significa anche, come alcune avvisaglie biotecnologiche tentano di farsi strada, ritenere che la filiazione possa avvenire per via biologica o come costruzione bioculturale ritenuta montabile o smontabile al pari di un artefatto.
Negare il figlio significa negare il Terzo, ritenere che colui che ci succederà possa rappresentare il nostro specchio, impersonificare il nostro sosia, riprodurre macchinalmente la nostra identità, reincarnarla. Sono tutte figure dell’onnipotenza dell’Io, con l’interminabile carrellata delle sue inaffidabili protesi. Rimaniamo nel dramma narcisistico e nella sua scena mortifera.  

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