La teoria gender ha varie implicazioni, non si tratta solo della questione della sessualità o dell’orientamento sessuale. L’articolo di Annalisa Borghese dal titolo “Donne e maternità, storie e dubbi” uscito su Panorama.it (http://news.panorama.it/cronaca/specchio-venere/Donne-e-maternita-storie-e-dubbi), si interroga se la pratica degli uteri in affitto possa ancora chiamarsi maternità.
“Nella cosiddetta genitorialità patchwork - scrive Borghese - il figlio diventa un prodotto mercificabile, come tale soggetto a regole di mercato. Si compra e si vende, si esporta e si importa. E quale valore ha? Si può ancora chiamare figlio, cioè “il generato”? In effetti la deriva "gender" smonta il concetto di maternità, la pervertizza a favore di un desiderio cinico, quello di diventare madre ad ogni costo. Il figlio diventa oggetto, oggetto “creato” dalla tecnologia. Non a caso alcuni incominciano a parlare della “comodità” della clonazione. Ma è tutt’altra cosa. Riuscirà la tecnobiologia a scardinare i principi simbolici della filiazione? Sarà difficile. Eppure la teoria gender va in questa direzione, ossia cercare di scardinare non solo lo statuto dell’identità sessuale dell’uomo e della donna, ma scardinare lo statuto stesso della famiglia intesa come luogo simbolico della generatività tra uomo e donna. Il tema della trasmissione, della memoria, delle generazioni future risulta a rischio, a rischio di estinzione simbolica. E dunque: cosa rimane del figlio? O meglio: cosa rimane al figlio? E’ proprio questa la “deriva inimmaginabile” che la giornalista pone quale punto di partenza nel suo articolo. Seguendo questa deriva risulta che per diventare madre basta pagare: le tariffe, come riferisce la giornalista, variano di paese in paese e da mercato a mercato.
Una volta vigeva il principio secondo cui “mater semper certa est”. Oggi, epoca che si ritiene civile solo in quanto invasa da un’estesa ipertrofia dei diritti, la maternità “surrogata” rischia di ledere e calpesatre il diritto del “nascituro”. Costui, una volta giunto su questo mondo, si chiederà come vi sia giunto, da quali corpi, da quali cellule, da quali desideri, da quali incontri. Un po’ faticosamente capirà che per lui è stato diverso da altri figli. Si farà ragione di una disuguaglianza incolmabile, forse. Ecco un perverso paradosso dell’ipermodernità: per ottenere l’uguaglianza (diritto di donne alla maternità) si commette una disuguaglianza ancor peggiore (figli nati da uteri affittati). Ma non solo: sotto la bandiera trionfante dell’uguaglianza e dei diritti si commetteranno le più bieche disuguaglianze. Con o senza l’alibi delle biotecnologie.
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