Il desiderio, l’oggetto, il denaro: tre parole cruciali, che tessono,
mai come oggi, lo scenario del nostro tempo. Scintillano, ciascuna con la
propria lucentezza, portando luce negli angoli più scabrosi dell’immaginario
degli individui. Il desiderio, l’oggetto, il denaro: tre termini che si
incrociano in una serie di rimandi e di inganni insidiosi. Quasi che il denaro,
“scambiatore universale” per eccellenza, con la sua onnipotenza potesse
esaudire tutti i desideri impossessandosi voracemente di qualsiasi oggetto. Due
libri, di uno psicoanalista e di un filosofo, scandagliano da angolature
differenti una serie di tematiche che appartengono all’attualità. I punti di
intersezione sono parecchi. Parliamo di Ritratti
del desiderio di Massimo Recalcati (Raffaello Cortina, 2011) e di Soggettività e denaro. Logica di un inganno
di Silvano Petrosino (Jaca Book, 2011). (Interv. di Giancarlo Ricci).
Partiamo dal desiderio,
parola dai mille volti. Secondo Recalcati, psicoanalista e docente
all’Università di Pavia, il desiderio resta “la parola chiave” della
psicoanalisi a condizione di non confonderla con “l’arbitrio, il capriccio o
con l’assenza della Legge”. In effetti una certa accezione di desiderio
“permette di intendere la cifra antropologica e sociale del nostro tempo”:
l’uomo senza desideri. Lo spegnimento del desiderio nella nostra epoca risponde
alla logica del discorso capitalista che propugna, in modo compulsivo,
“un’apologia del desiderio di godere” che conduce a una saturazione mortifera e
nichilistica. Ma esistono diversi volti del desiderio, avverte Recalcati. Il
suo volto più luminoso è quello che pulsa al centro della nostra soggettività e
che anima il nostro progetto di vita. Nel libro l’autore passa in rassegna,
come in una galleria di ritratti, dieci differenti coniugazioni del desiderio,
evidenziandone di volta in volta luci e ombre. Il percorso invece in cui si
inoltra Petrosino, docente di filosofia all’Università Cattolica di Milano e di
Piacenza, è costellato da riferimenti ad Heidegger, Lacan, Lèvinas, Simmel ma
anche ad alcune pagine di Kafka. Le sue mosse si susseguono con rigore: il
desiderio non è il bisogno, l’assenza dell’oggetto non coincide con la
mancanza, perché quest’ultima, costitutiva del soggetto, rappresenta la “cifra
del desiderio umano”. L’inganno incomincia quando il soggetto presume di sapere
quale è la propria mancanza e crede di padroneggiare il desiderio fino a farlo
coincidere con il bisogno. In preda a questo meccanismo il soggetto cercherà
ben presto un altro oggetto, ancor più luccicante, per colmare quello che
ritiene il suo bisogno. Ecco come la logica dell’autoinganno riproduce
l’abbaglio degli idoli. Ecco come il denaro, apparentemente “il meno pericoloso
e il più democratico dei fantasmi”, promuove la proliferazione di questo
autoinganno.
Ai due autori abbiamo
rivolto qualche domanda. Partiamo dalla società ipermoderna: “In che misura
l’esasperata proliferazione di oggetti di desiderio produce una sorta di
ottundimento della soggettività, una logica dell’inganno?”. “Ogni volta - afferma Petrosino -
che l'uomo cerca una risposta al proprio desiderio attraverso il possesso di
oggetti - la «roba» di cui parla Verga - va incontro a un
fallimento. Questa mi sembra essere un'esperienza quotidiana, evidente. In
effetti il possesso di un oggetto garantisce al soggetto un certo godimento e
una qualche soddisfazione, anche se temporanei. Così, di fronte allo sconcerto
del desiderio, il soggetto tenta sempre di tradurre la strana logica del
desiderio nella più famigliare logica del bisogno. Quest’ultima, proprio perché
finalizzata all'oggetto, è manipolabile e dominabile. In altri termini, il
soggetto tenta di abitare il proprio desiderio come se fosse un mero bisogno.
Un simile tentativo sta alla base della costruzione dell'idolo e di ogni
idolatria. Parodiando Lacan si potrebbe dire: consumate, si continui a
consumare, il consumo non si fermi: per il desiderio ripassate”. “Il discorso del capitalista - precisa Recalcati - crede nella potenza
salvifica dell’oggetto. Anzi, la sua astuzia fondamentale consiste nel proporre
l’oggetto come nuovo idolo. In questo senso Pasolini definiva il nostro tempo
come «politeista». Credere nell’oggetto significa attribuirgli un potere
salvifico. L’oggetto promette di guarire il dolore di esistere. Si tratta di
una versione medicinale dell’oggetto. Dall’altra parte però il discorso del
capitalista deve presentare tutta l’inconsistenza, la vacuità, il carattere
effimero di questo oggetto. L’oggetto deve promettere una (falsa) salvezza ma
deve anche essere totalmente inconsistente per alimentare la macchina
produttiva e la potenza seduttiva del mercato. E’ questo l’inganno fondamentale
che sostiene questa visione dell’oggetto. La psicoanalisi invece non crede
nell’Oggetto ma al suo fallimento. Crede nella vocazione del desiderio che non
dipende dal feticismo dell’Oggetto. Il desiderio infatti non dipende da nessun
oggetto ma si centra sul carattere incomparabile del soggetto dell’inconscio.
E’ vocazione, spinta, visione, slancio al di là dell’Oggetto!”.
Di
sicuro l’altra faccia dell’oggetto è quella del denaro, immaginato incarnare
una potenzialità magica. Chiediamo ai nostri autori: “In che misura oggi il
denaro promuove il principio secondo cui tutto è possibile? Come ristabilire
una dimensione del limite?” La forza del denaro - riprende Petrosino - è data
dal fatto che permette il possesso di oggetti, e di conseguenza quel certo
godimento che il soggetto tende a interpretare come la risposta al proprio
desiderio. Il denaro non è in sé un
male, ma tende quasi inevitabilmente a diventarlo: permette l'accesso
all'infinità degli oggetti, alimenta l'illusione che il loro possesso coincida
con la risposta che il soggetto cerca. Del resto l’umanità si è spesso
consegnata a follie ben più inquietanti e pericolose di quella del denaro: per
esempio «la patria», «la razza», «il sangue», «il popolo», «la terra», «la
casta»”. Possiamo affermare - ribadisce Recalcati - che “il tutto è possibile è
una formula della perversione. Il nostro tempo ne ha fatto uno slogan per
definire una versione solo immaginaria del desiderio. Il desiderio sembra
svincolarsi da ogni esperienza del limite. Diventa una parodia della libertà
nel senso che riduce la libertà al capriccio. Diversamente, per la psicoanalisi
il desiderio è innanzitutto in rapporto a un impossibile: non si può avere
tutto, sapere tutto, godere di tutto. Il desiderio è una forza che si nutre del
limite e porta sempre con sé una povertà, una lontananza, che è un tesoro. La
magia illusoria del denaro invece sembra voler cancellare ogni esperienza del
limite. Ma in questo modo finisce per distruggere l’esperienza stessa del
desiderio che è l’esperienza dell’umanizzazione della vita”.
“I giovani di oggi -
chiediamo ancora a Recalcati – quali rischi corrono in una società che permette
di avere e consumare tutto e subito?”. “I giovani sono assediati
da oggetti di ogni genere. La prossimità di oggetti inumani, quelli tecnologici
o gadget, di oggetti di godimento quali la droga o l’alcol, sembra spostare
l'interesse dei giovani dall'incontro amoroso con l'Altro a
una consumazione senza relazione. Non è un caso che in questa tendenza triste
e permanente che caratterizza il nostro tempo si assista a un dilagare della
depressione proprio tra le nuove generazioni. Quando manca il desiderio la
vita si manifesta come una muffa superflua e insensata. Del resto il
disagio giovanile oggi non è più generato dal conflitto contro i padri nel
nome del desiderio, ma dalla fatica dei giovani di accedere al desiderio.
Questo dipende anche dal fatto che i padri contemporanei non riescono ad assumere
una funzione educativa: sembrano non essere più in grado di offrire una
testimonianza credibile che si può vivere questa vita con slancio
e creatività, senza lasciarsi catturare dalle sirene di un godimento
facile e sempre a disposizione”. “Va precisato che questa società - riprende
Petrosino - punta non tanto al possesso delle singole cose quanto alla
promozione della logica del fantasma, ossia dell’idea onnipotente di poter
possedere qualsiasi cosa. I giovani, avendo un accesso quasi immediato agli
oggetti, credono di trovare subito una risposta immeditata al loro desiderio. Ecco
l’inganno, ed è devastante. Capita per esempio che gli adolescenti riproducano
nella realtà quello che vedono nei videogiochi. Ma il reale è fatto di sudore,
di malattia, di morte, di gioia, di corpo. Nel virtuale manca il corpo. Mentre
una volta l’accesso difficoltoso alle merci rendeva più difficile l’ubriacatura
delle cose, oggi attraverso il denaro e l’uso di mezzi tecnologici, l’accesso
immediato a ogni bene di consumo può dare l’illusione di raggiungere la
pienezza. Contro simile logica occorre cercare di smascherare il potere di
questo fantasma. Occorre lottare contro l’idolatria del nostro tempo”.
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