Il delitto
è davvero orribile. Il 2 febbraio 1933 nella cittadina francese di Le Mans due giovani
sorelle, impiegate come domestiche, nel cuore della notte uccidono le loro
padrone, madre e figlia. Si accaniscono sui loro corpi con coltelli e martelli
deturpandole e cavandole gli occhi “come le Baccanti castravano”, commenterà
poi Jacques Lacan. Lavano gli strumenti dell’atroce rito, si purificano anche
loro e tornano a letto. (Giancarlo Ricci)
Il delitto fece scalpore anche perché le due sorelle
non presentavano, finché erano assieme, alcun segno di alterazione, di delirio
o di demenza. Non sapevano spiegare il motivo del loro gesto. Solo dopo alcuni
mesi una di loro, Christine, tenuta isolata dalla sorella, presenta una serie
di crisi violentissime di agitazione, con allucinazioni e deliri terrificanti
in cui tra l’altro cerca di strapparsi gli occhi. Il processo desta un’immensa
curiosità. Il 30 settembre, le sorelle vengono condannate dai giurati.
Christine udendo che le verrà tagliata la testa sulla piazza di Le Mans,
accoglie la notizia in ginocchio. Successivamente verranno graziate.
In quello stesso anno e nei successivi
i surrealisti fecero delle sorelle omicide due eroine “dell'istinto libero e
trionfante”. Tra gli altri parlano di loro Breton, Eluard, Peret. Sartre in Il muro (1939) e de Beauvoir in La forza dell'età (1960) accennano alla
vicenda. Non può mancare Jean Genet che teatralizza questa atroce storia in un
atto unico, Le cameriere (1948). Il
cinema riprenderà a suo modo questa vicenda. Anche Lacan interviene ma in un modo diverso dagli altri pubblicando
un breve saggio scientifico sulla celebre rivista surrealista “Minotaure”. Il
saggio, dal titolo “Motivi del delitto paranoico”, lo si trova incluso nel volume
Della psicosi paranoica (Einaudi, 1980)
che era la sua tesi di dottorato in psichiatria in cui esplora alcuni casi di
paranoia femminile.
Il gallerista Kahnweiler riporta, in una
conversazione con Picasso verso la fine del ’33, che questi “ha visto il dott.
Lacan con il quale non è affatto d’accordo: egli sostiene che le sorelle Papin
sono pazze”. Picasso sconsolato da questa divergenza con Lacan rincala la dose
dicendo che lui invece “ammirava le sorelle Papin in quanto avevano osato fare
ciò che ciascuno vorrebbe fare, ma che nessuno osa fare”. E si chiede: “Che
cosa sarebbe la tragedia se togliamo questo aspetto?” Kahnweiler gli fa notare
che i giudici le avevano considerate pazze. E Picasso: “Oh, i giudici hanno una
cultura classica!”. E Kahnweiler ridendo: “Sì, il diritto romano!”. “Gli
psichiatri moderni - replica Picasso - sono i nemici della tragedia e della
santità. Dire che le sorelle Papin sono pazze, è come abolire questa cosa
ammirabile, il peccato”.
Curioso turbinio di parole e di temi
alquanto densi. Di sicuro oggi le affermazioni di Picasso desterebbero scandalo
e censura. Non è difficile ammetterlo: c’è della follia nel regno del
surrealismo e Picasso vi ha soggiornato a lungo. Curioso inoltre che questo
sottile filo della follia, che si intreccia con quello della tragedia, della
trasgressione, della santità, del diritto e del peccato, ritorni dodici anni
dopo, nel ’45, quando Picasso, preoccupato degli incontenibili deliri di Dora
Maar, sua inseparabile amante, chiederà a Lacan di occuparsene facendola
ricoverare all’ospedale psichiatrico di Sant’Anna.
Per Picasso sempre faccende di donne,
per Lacan sempre questione di teoria e di inconscio. Il discorso qui diventa
enorme: si potrebbe accostare la pratica dell’arte e della sublimazione con il
tema della soggettività e del godimento. Addentrarsi in queste faccende non è
facile. Ci si può provare attraversando il corposo volume di Massimo Recalcati
dedicato a Jacques Lacan (Raffaello
Cortina 2012) il cui sottotitolo, “Desiderio, godimento e soggettivazione”,
apre un orizzonte in cui l’istanza dell’arte e quella della follia possono
seriamente fare i conti. Probabilmente i due giganti, Picasso e Lacan, sapevano
entrambi che i conti non tornano e che questa constatazione andava presa
alquanto seriamente. Cosa, del resto, a cui entrambi si sono seriamente
adeguati nel loro immane lavoro.
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